SEC: molte criptovalute sono security

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Ieri il presidente della SEC, Gary Gensler, ha rilasciato un’intervista in cui ha dichiarato di ritenere che molte criptovalute in realtà sono security. 

La SEC, ovvero Securities and Exchange Commission, è l’agenzia statunitense che vigila proprio sui mercati finanziari delle security, quindi la dichiarazione di Gensler non può essere ignorata. Inoltre, se corrispondesse a realtà, il mercato crypto potrebbe venire stravolto in futuro degli interventi della medesima agenzia. 

L’opinione della SEC su molte criptovalute: la maggior parte sono security

Una security in USA è un asset finanziario che non può essere legalmente messo sui mercati e promosso senza esplicita approvazione della SEC. 

Quindi, le criptovalute che dovessero essere riconosciute come security messe sul mercato in assenza di tale approvazione dovrebbero essere ritirate dagli exchange, pena la chiusura degli exchange stessi. Sebbene la SEC operi solo negli USA, moltissimi altri Paesi hanno leggi simili a riguardo. 

Ad oggi si contano più di 12.000 tra criptovalute, token e stablecoin, quindi, anche se più del 90% di queste dovessero essere dichiarate security, ne rimarrebbero comunque centinaia ad essere considerate qualcos’altro. 

Tra queste ci sarebbero sicuramente Bitcoin ed Ethereum, visto che più volte la stessa SEC in passato ha avuto modo di affermare di ritenerle commodity. 

Pertanto, da un lato abbiamo l’ipotesi secondo cui molte criptovalute potrebbero essere sui mercati in modo illecito, mentre dall’altro abbiamo la certezza che ce ne sono diverse che, invece, vi possono continuare a stare senza problemi. 

Il vero problema, infatti, è stabilire quali criptovalute vadano considerate security, e quali invece no. 

L’Howey Test utilizzato dalla SEC per capire se le criptovalute sono security

La SEC, ad esempio, utilizza il cosiddetto Howey Test per stabilire se un asset vada considerato una security, e l’esito di questo test può avere anche valore legale. Dal punto di vista strettamente tecnico, l’Howey Test serve per determinare se una transazione si qualifica come un “contratto di investimento”, rivelando, quindi, che l’asset scambiato vada considerato una security soggetta ai requisiti di divulgazione e registrazione ai sensi del Securities Act del 1933 e del Securities Exchange Act del 1934. 

Il concetto alla base di questo test è che esiste un contratto di investimento ogni volta che vi è un investimento di denaro in un’impresa comune che generi una ragionevole aspettativa di ottenere profitti derivanti dalle attività dell’impresa stessa. 

La definizione di “un’impresa comune” è ciò che potrebbe far considerare molte criptovalute come delle security, perchè in molti casi dietro un progetto crypto non c’è una normale azienda registrata, ma ci sono anche DAO e Fondazioni che, però, potrebbero anche rientrare nel concetto di “impresa comune”. 

Ovvero, non bisogna confondere le formalità con la sostanza, perché se qualcuno o qualcosa emette una criptovaluta o un token con il preciso scopo di remunerare gli investitori grazie al suo lavoro, potrebbe essere accusato dalla SEC di aver venduto una security non registrata, dato che le criptovalute ed i token non vengono registrati presso la SEC. 

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Secondo la SEC, molte delle criptovalute esistenti rientreranno nella definizione di security

Il famoso caso Ripple-SEC

Il caso più celebre in tal senso è quello di Ripple, azienda contro cui proprio la SEC ha avviato una causa accusandola di aver messo sul mercato una security spacciata per utility token, ovvero la criptovaluta Ripple, poi rinominata XRP. 

Tale causa è ancora in corso, ormai da quasi due anni, ed a quanto pare deve essere piuttosto difficile dimostrare che XRP agli inizi sia stato venduto come una security. 

È possibile che dall’esito di questa causa dipenda l’atteggiamento futuro della SEC nei confronti di altre criptovalute, con conseguenze potenzialmente anche molto gravi per i mercati crypto. 

Sebbene BTC e ETH non rientrino in questa definizione, tanto che è già stato affermato che vadano considerate come commodity, potrebbe sorgere un problema per via dello staking. 

Infatti, chi mette in staking i propri ETH su nodi di terzi che convalidano i blocchi, di fatto lo fa perchè ha una ragionevole aspettativa di ottenere profitti derivanti dalle attività del nodo appartenente a terzi, ovvero dall’attività di chi offre loro la possibilità di investire ETH mettendoli in staking

Per ora sembra proprio che molto dipenda dall’esito della causa contro Ripple, perché qualora la SEC dovesse perdere sarà molto difficile che possa andare avanti su questa strada ed iniziare ad accusare anche altre criptovalute di essere delle security. Ma se, invece, dovesse vincere quella causa si potrebbe aprire una nuova fase molto più ampia e profonda in cui la SEC di Gensler potrebbe accusare centinaia, se non migliaia di progetti crypto, di aver violato la legge in egual modo. 

In altre parole, il caso SEC vs. Ripple costituirà probabilmente un precedente in entrambi i casi, sia che vinca la SEC, sia che vinca Ripple. 

La chiara definizione di Bitcoin: è una commodity

In entrambi i casi, Bitcoin non sarà considerato una security, perché non promette guadagni a nessuno. Inoltre, non vi è un soggetto che raccoglie investimenti in cambio della promessa di pagare rendimenti generati grazie alla propria attività. 

In realtà, anche Ethereum funziona in questo modo, ma con l’introduzione dello staking i nodi che offrono tale opportunità di rendimento potrebbero dover chiedere l’approvazione di autorità come la SEC per poterlo fare a norma di legge. Il rischio pertanto c’è, ma alla fine potrebbe anche rivelarsi limitato ad una richiesta di approvazione del prospetto informativo obbligatorio per proporre l’investimento ai clienti del servizio. 

Un discorso completamente diverso, invece, riguarda coloro che creano criptovalute con lo scopo di raccogliere investimenti in cambio della promessa di pagare rendimenti generati dal loro lavoro. Anche se si trattasse di enti formalmente non riconosciuti come aziende, ovvero ad esempio DAO o Fondazioni, è difficile immaginare che potrebbero realmente riuscire a sfuggire all’obbligo di rispettare queste normative. 

Il procedimento per avere l’approvazione dalla SEC

Inoltre potrebbe essere piuttosto difficile per queste organizzazioni riuscire ad ottenere l’approvazione della SEC. Per quanto riguarda normali aziende finanziarie registrate correttamente come tali potrebbe non risultare particolarmente complesso, qualora rispettino tutti i classici requisiti richiesti, Ma in caso di entità non registrate come imprese finanziarie, e senza i requisiti necessari per poter essere riconosciute come tali, potrebbe essere addirittura impossibile. 

A ciò va aggiunto che occorre del tempo per ottenere tali approvazioni. Quindi, qualora la SEC dovesse iniziare ad intervenire per bloccare gli scambi delle criptovalute ritenute security non registrate, in un primo momento la conseguenza potrebbe essere un loro delisting dagli exchange, o addirittura una chiusura forzata degli exchange stessi. 

La situazione è ancora in divenire, e potrebbe non volerci poco prima che si chiarisca quali criptovalute vadano considerate security, e come fare per renderle scambiabili legalmente sui mercati. La SEC non sta aiutando molto a comprendere quale sarà il suo reale atteggiamento da questo punto di vista, ma sembra proprio che sia intenzionata ad intervenire concretamente, anche se non si sa nè come, nè quando. 

Il problema non va sottovalutato, anche perché i rendimenti finanziari sono in assoluto la principale motivazione che induce molti investitori ad acquistare criptovalute, oltre a quella che spinge i meri speculatori a cercare di guadagnare solo comprando e rivendendo ad un prezzo maggiore. 

Il “Far West” delle criptovalute potrebbe finire proprio nel momento in cui la SEC dovesse iniziare questa sorta di “pulizia” dei mercati crypto, obbligando chi promette rendimenti finanziari a richiedere l’approvazione della propria offerta. 

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